A MALI ESTREMI, ESTREMI RIMEDI. COME RISPONDERE ALL’AUMENTO DELLE TEMPERATURE E L’UMIDITA’ DELL’ARIA
L’umidità dell’aria insieme all’aumento drastico delle temperature è un grave rischio per la salute delle persone e delle condizioni di vivibilità dell’ambiente. Come quello dell’approvvigionamento idrico in alcune zone del Pianeta.
Alla base della soluzione del problema dell’acqua nel prossimo futuro, suggerisce uno studio, ci deve essere la conservazione delle proprie risorse e l’ottimizzazione del loro utilizzo. Come sempre, quando si parla di sostenibilità, la prima soluzione dei problemi sta nell’adottare consumi efficienti e responsabili. In pratica, è necessario partire da un riadeguamento del modo in cui sono utilizzate le risorse esistenti.
Ricavare acqua potabile dall’aria può essere una soluzione per il futuro, tremila dispositivi per condensare l’umidità e trasformarla in H2O saranno installati ad Abu Dhabi. Questa innovazione si aggiunge ad altre simili e importanti per gli oltre 2 miliardi di persone che oggi soffrono la sete.
Catturare l’umidità e trasformarla in acqua: quindi filtrarla e mineralizzarla per adattarla ad usi umani, agricoli, industriali. Da ipotesi sperimentale è diventata un’opzione reale per far fronte alla scarsità d’acqua dolce che investe e sempre più colpirà il pianeta. A provarlo è anche l’accordo tra la Sociètè de l’eau aèrienne suisse (Seas) e una società negli Emirati Arabi per sviluppare questi impianti di trasformazione. Secondo l’intesa, saranno prodotti 3.000 dispositivi per la generazione di acqua potabile dall’aria: ognuno avrà una potenzialità produttiva quotidiana di 30 litri.
Il sistema sviluppato cattura l’umidità ambientale e la condensa fino a creare acqua. Quest’ultima viene filtrata, quindi sottoposta a un trattamento antibatterico e infine mineralizzata. Tanto che il processo finale fornisce non solo acqua potabile, ma di alta qualità. Inoltre, il sistema consente di declinare il prodotto finale a seconda delle applicazioni umane, agricole o industriali. Non solo questi sistemi consentono ai clienti di ottenere molta energia termica da impiegare per produrre aria fredda per la climatizzazione e calore per riscaldare l’acqua sanitaria. Il che significa compensare il costo di energia richiesta per la produzione di acqua.
La novità sta nella commercializzazione su larga scala di questi apparecchi, non nella loro invenzione dal momento che uno degli apparecchi di Seas era stato presentato ad Expo 2015.
A quel tempo la società svizzera stava sperimentando questi nuovi strumenti in un albergo, nella sede di una società petrolifera in Messico, e in una fabbrica di formaggio in Perù. Secondo gli studi di una professoressa presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pavia che ha collaborato alla realizzazione del sistema “a differenza delle tecnologie a osmosi inversa, come la desalinizzazione o la depurazione ovvero il trattamento delle acque reflue, quella di Seas garantisce un impatto ambientale basso o nullo, non rilasciando impurità nell’ecosistema locale e offrendo una fonte illimitata di acqua potabile”.
A quanto pare, il primo ad essersene occupato in età moderna è stato nel 1900 Friedrich Zibold, un ingegnere russo. Osservando mucchi di pietre antiche dallo scopo misterioso nei resti dell’antica città di Feodosia, in Crimea, Zibold ipotizzò che si trattasse di strumenti per condensare l’acqua dall’aria. Provò a replicarne il funzionamento e sembra che nel 1912 il suo sistema fosse in grado di produrre 360 litri di H2O al giorno. Ma non esistono prove ufficiali del buon esito del suo esperimento.
In tempi molto più recenti, alcuni scienziati hanno iniziato a studiare una specie di scarabeo che vive nel deserto della Namibia: uno dei luoghi più aridi al mondo. L’insetto sfrutta la nebbia che ogni tanto sfiora il deserto, lasciando che le goccioline d’acqua si condensino sul suo corpo e che poi scivolino fino alla bocca. Studiando l’anatomia dello scarabeo, gli scienziati hanno cercato di replicare la struttura del suo addome utilizzando la stampa 3D. Così da creare apparecchi di forma simile in grado di condensare la nebbia del deserto. Studiando l’anatomia dello scarabeo, gli scienziati hanno cercato di replicare la struttura del suo addome utilizzando la stampa 3D. Così da creare apparecchi di forma simile in grado di condensare la nebbia del deserto.
Esistono poi macchinari inventati in California e Spagna, con scopi simili a quelli di Seas. Ma sono o troppo cari o poco funzionali ad un approvvigionamento su larga scala. Diversamente, l’Università del Cile sta sperimentando reti di polipropilene capaci di catturare l’acqua condensata dal vapore acqueo di passaggio nel deserto di Atacama, il luogo più arido della Terra.
Purtroppo i risultati sono ancora scarsi in termini quantitativi, sebbene l’Università di Akron, in Ohio, stia sviluppando soluzioni simili ma dalla resa più efficace. Ci sono poi molti altri esempi di apparecchiature per trasformare l’aria in acqua. Una delle più semplici è la bottiglia Fontus, dotata di un sistema che permette di riempirsi autonomamente e con grande pregio di essere, appunto, portatile. Funziona permettendo all’aria umida di entrare nel dispositivo, dove è esposta a ciò che sono definiti “denti” idrofobici.
Si tratta di qualcosa di simile alle setole di uno spazzolino . Questi ‘denti’ costringono il vapore acqueo a condensare per formare goccioline pronte per la raccolta. L’alimentazione è fornita da una piccola batteria ricaricabile a pannello solare integrata nel dispositivo. Ma chiaramente è più una soluzione per escursionisti che un metodo per affrontare il gravissimo problema dell’approvvigionamento idrico nelle zone inaridite.
I 3000 dispositivi installati ad Abu Dhabi saranno in grado di produrre circa 100mila litri di acqua in un solo giorno. Per dare una dimensione del problema della dispersione idrica, sono gli stessi litri che secondo l’Istat sono persi in Italia in un solo secondo a causa dello stato delle nostre condutture. Secondo UN-Water, 2,3 miliardi di persone vivono in paesi con stress idrico, di cui 733 milioni in paesi a tasso alto e critico. Ma è metà della popolazione mondiale a vivere in zone potenzialmente a rischio di approvvigionamento idrico, mentre già tra meno di dieci anni 700 milioni di esseri umani potrebbero dover migrare a causa della scarsità d’acqua nei luoghi di origine. Per vedere qual è lo stato dei corsi d’acqua nel mondo, la Fao ha realizzato una mappa interattiva chiamata Aquastat.
Da anni esistono delle tecnologie in grado di estrarre l’acqua dall’umidità atmosferica e renderla potabile. Si chiamano generatori di acqua atmosferica e il loro potenziale è notevole. Ma quelli realizzati fino ad oggi, presentano ancora un limite che ne arresta la diffusione. Tali strumenti sfruttano infatti l’escursione termica tra il giorno e la notte e, di conseguenza, riescono ad estrarre l’acqua solo al calare del sole. Questo perché – come le pellicole raccogli rugiada -, il sole riscalda le lamine durante il dì e rende impossibile la formazione della condensa.
Oggi però, un team di scienziati dell’ETH di Zurigo (Politecnico federale), con l’obiettivo di aiutare i paesi afflitti dalla siccità, è riuscito a creare un condensatore in grado di produrre H2O dall’umidità, 24 ore su 24 – anche sotto il sole cocente – e senza energia. Con una lastra di vetro rivestita di strati di polimero e argento, in grado di riflettere le radiazioni solari, respingere il calore e raffreddarsi fino a 15° C al di sotto della temperatura ambientale, in modo che, nella parte inferiore del pannello, l’umidità dell’aria si condensi in acqua. Si tratta di un rivestimento speciale, appositamente progettato, il quale fa sì che il pannello emetta radiazioni infrarosse a una specifica lunghezza d’onda verso lo spazio esterno, senza assorbimento da parte dell’atmosfera, né riflessione sul pannello.
Un altro elemento essenziale di questo nuovo condensatore è lo schermo per radiazioni a forma di cono, il quale devia la radiazione termica dall’atmosfera e scherma la lastra dalla radiazione solare in arrivo, consentendo contemporaneamente al dispositivo di irradiare suddetto calore verso l’esterno e di autoraffreddarsi completamente. Inoltre, solitamente le altre tecnologie richiedono che, con un dispendio di energia, l’acqua di condensa venga rimossa dalla superficie affinché non resti lì e ostacoli l’ulteriore condensazione. Ecco quindi che gli esperti hanno applicato un rivestimento estremamente idrorepellente alla parte inferiore della lastra del condensatore, in modo che l’acqua scorra via dalla superficie.
Questo generatore super sofisticato è stato testato e ha dimostrato di poter produrre almeno il doppio di acqua rispetto alle migliori tecnologie. Con un pannello di soli 10 centimetri di diametro, eroga 4,6 millilitri di acqua al giorno. Quindi, pannelli più grandi genererebbero quantità maggiori di acqua potabile. Gli scienziati hanno anche dimostrato che, in condizioni ideali, ogni ora possono raccogliere fino a 0,53 decilitri di acqua per metro quadrato di superficie della lastra. Adesso quindi, il loro obiettivo è quello di sviluppare ulteriormente questa tecnologia e aumentarne la resa.
Acqua che manca anche in altre aree del mondo, e non sempre la costruzioni di pozzi può essere la soluzione corretta. Ecco dunque un’idea che si è trasformata in realtà grazie all’intuito, ed alle competenze dell’imprenditore-ingegnere spagnolo Enrique Veiga, che negli ultimi 30 anni ha perfezionato quella che potrebbe essere una tecnologia salvifica per intere popolazioni.
La sua azienda si chiama Aquaer, ed estrae acqua dall’aria. Con l’elettricità si raffredda l’aria che, a sua volta, si condensa e si trasforma in acqua. É un po’ lo stesso procedimento che si ha con la condensazione negli impianti di condizionamento. Esistono altri strumenti simili, ma questo generatore d’acqua è l’unico a non aver bisogno di basse temperature (funziona fino a 40 °C) e di un ambiente circostante ad alto tasso di umidità (è sufficiente un’umidità compresa tra il 10 e il 15%). Qui sta il valore aggiunto della soluzione spagnola: si può ottenere acqua anche, e soprattutto, nelle zone più desertiche del mondo.
L’obiettivo è raggiungere posti come i campi profughi dove non c’è acqua potabile, spiega l’82-enne Veiga, che ha maturato questa idea negli anni ’90 durante un lungo periodo di siccità nella Spagna meridionale. La soluzione funziona, e viene attualmente impiegata per dare da bere in un campo profughi del Libano e a diverse comunità della Namibia. L’impiego di pannelli solari per la generazione dell’elettricità può altresì contribuire a ridurre ulteriormente l’impatto sull’ambiente e a rendere possibile l’utilizzo della tecnologia nelle zone più estreme del pianeta.
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