EARTH DAY EVERYDAY – LE BUONE PRATICHE DI TUTTI
All’origine dell’Earth Day, celebrata per la prima volta nel 1970 negli Stati Uniti, ci fu un disastro ambientale. L’anno prima, infatti, dall’incidente che coinvolse una piattaforma petrolifera a largo di Santa Barbara, in California, si riversarono in acqua milioni di litri di petrolio. Una catastrofe che fece nascere l’Earth day, promosso dal senatore americano Gaylord Nelson coordinando i movimenti studenteschi. Come data, riconosciuta anche dall’Onu, fu scelta il 22 aprile e negli anni miliardi di persone in tutto il mondo si sono unite per aderire a iniziative e buone pratiche.
Un traguardo ambizioso che comincia anche dalle nostre scelte quotidiane ogni volta che acquistiamo un prodotto.
In realtà dobbiamo porre l’attenzione a tutta la filiera produttiva per essere certi che le nostre preferenze in termini di scelta sia del marchio che della provenienza delle materie prime siano in linea con i nostri principi di equità e solidarietà oltre che naturalmente di difesa dell’ambiente.
Ove vi siano casi di sfruttamento e danneggiamento inoltre devono essere perseguite anche logiche di ripristino delle condizioni naturali, per un nuovo modello di sviluppo sostenibile.
Una di queste azioni si riferisce al ripascimento delle spiagge (conosciuto anche come “rifornimento”) che consiste nel versamento artificiale di sabbia/ghiaia su una costa erosa al fine di mantenere una quantità idonea di sedimenti sulla costa. Questa pratica viene effettuata mediante l’utilizzo di macchine specializzate per il trasporto e la movimentazione della sabbia come escavatori, dumper e minipale.
In Emilia Romagna si prevede l’immissione di 1 milione e 100 mila metri cubi di sabbia. Misano, Riccione, Bellaria Igea Marina, Cesenatico, Cervia, Milano Marittima e Ravenna i comuni coinvolti; le attività sono coordinate dall’ assessore regionale alla Difesa del suolo e della Costa e contribuiscono in maniera determinante al riequilibrio sedimentario del litorale marino e al ripristino morfologico delle spiagge soggette alle dinamiche meteo-marine.
Durante gli anni ’70 e anche conseguentemente ai movimenti giovanili del ’68 con i figli dei fiori, l’argomento ha preso sempre più piede, dapprima con una certa diffidenza e perplessità e poi sempre con più insistenza. In questo periodo il tema è di dibattito quotidiano e se qualcuno poteva dubitare sulla sua effettiva urgenza ora si sta convincendo anche sulla base del cambiamento delle condizioni climatiche sperimentate sulla propria pelle.
Abitudini virtuose e iniziative concrete come supporti, attraverso investimenti responsabili per la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, valutando l’investimento in diverse classi di attività con l’obiettivo di contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2.
Le istituzioni preposte attuino attività selettive, in particolare escludendo a priori da nuove azioni propositive gli investimenti in Società legate all’estrazione e generazione di energia elettrica da carbone termico come pure sostenendo attività mirate al contenimento dell’uso della plastica e al suo corretto smaltimento.
L’impronta dei cambiamenti climatici è già impressa sulla salute delle persone. Quanto sarà profonda, possiamo ancora deciderlo. Nel dialetto africano Rukwangali esiste una parola, hanyauku, che significa “camminare in punta di piedi sulla sabbia calda”.
Un passo lieve e senza tracce, che accarezza la terra. L’unico che ci può avvicinare a un futuro più sano per tutti.
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