TERRE RARE – METALLI CRITICI PER LA TRANSIZIONE ENERGETICA
E’ una corsa contro il tempo per trovare un accordo internazionale che prevenga lo sfruttamento selvaggio dei fondali oceanici, dove ci sono enormi risorse minerarie ma anche enormi (e in gran parte ignoti) rischi di danneggiare l’ambiente.
Terre rare, cobalto, rame, nickel. Negli abissi degli oceani, a profondità estreme, che vanno anche oltre 4mila chilometri sotto il livello del mare, ci sono ricchezze inestimabili: quantità enormi di alcuni tra i metalli più preziosi per l’auto elettrica e in generale per la transizione energetica, difficili ma oggi non più impossibili da recuperare: miliardi di tonnellate di risorse minerarie, più di quelle estratte in tutta la storia dell’umanità, che indubbiamente fanno gola.
I Rare Earth Elements, spesso poco conosciuti, sono fondamentali per la produzione e il funzionamento di oggetti che fanno parte della quotidianità umana, come gli smartphone, i touchscreen, le lampade e gli hard disk dei computer. Inoltre, sono alla base di molte altre tecnologie come le fibre ottiche, i laser e le apparecchiature mediche, e sono essenziali per la produzione di tecnologie green, come le turbine eoliche e i pannelli fotovoltaici. Essi costituiscono magneti permanenti, sensori elettrici e convertitori catalitici, e sono impiegati anche nella produzione di batterie per le auto elettriche.
Il Giappone ha intenzione di estrarre terre rare dal fondale dell’oceano Pacifico, un gruppo di diciassette metalli. I preparativi inizieranno già l’anno prossimo, ma le estrazioni vere e proprie partiranno nel 2024. Il sito scelto si trova a Minami Torishima, un piccolo atollo disabitato nel Pacifico a quasi 1900 chilometri a sud-est di Tokyo.
Le operazioni esplorative hanno rinvenuto dei fanghi ricchi di terre rare nel fondale oceanico a circa 6000 metri di profondità. Per raggiungere le risorse, il Giappone dovrà prima sviluppare delle tecnologie estrattive capaci di raggiungere simili livelli: ad oggi è riuscito ad arrivare depositi sottomarini situati a 2470 metri.
Al di là della profondità, le trivellazioni nell’area di Minami Torishima sono complicate dai tifoni e dalla Kuroshio, una delle correnti oceaniche più grandi al mondo.
Il know-how dell’industria petrolifera, inoltre, non si adatta perfettamente all’estrazione di terre rare. Il prelievo di idrocarburi come petrolio o gas naturale dai fondali marini, infatti, sfrutta la pressione generata all’interno dei giacimenti, che spinge le risorse verso l’alto. Lo stesso fenomeno non si verifica però nei fanghi che contengono terre rare, e quindi bisogna utilizzare dei sistemi di pompaggio per portare in superficie i metalli.
La maggiore difficoltà nel reperire i preziosi metalli è legata al loro procedimento di lavorazione, raffinazione e purificazione. Le sostanze passano attraverso una serie di step che coinvolgono diversi stadi acidi e filtraggi, il che comporta la generazione di una grande quantità di scarti tossici e un costo ambientale elevato.
Le autorità giapponesi hanno stanziato 6 miliardi di yen (44 milioni di dollari) per questo progetto: i fondi verranno spesi per lo sviluppo di pompe e per la costruzione di tubi lungi fino a 6000 metri, che verranno utilizzati nelle estrazioni di prova.
Attualmente il Giappone dipende dalle importazioni per soddisfare praticamente tutto il suo fabbisogno di terre rare: la Cina è la sua fornitrice più importante, con una quota del 60 per cento. Tra i metalli importati dalla Cina ci sono il neodimio, utilizzato negli impianti di energia eolica, e il disprosio, presente nei motori dei veicoli elettrici.
Nella Strategia di sicurezza nazionale presentata qualche giorno fa, le autorità giapponesi affermano che “il Giappone ridurrà la dipendenza eccessiva da determinati paesi, porterà avanti le basi di sviluppo e manifattura di semiconduttori di nuova generazione e si garantirà una fornitura stabile di beni critici, tra cui le terre rare”.
Il Giappone non è l’unico ad avere intenzione di sfruttare il fondale marino per garantirsi l’accesso ai metalli critici per la transizione energetica. Un’azienda mineraria canadese, The Metals Company, punta a estrarre tonnellate di rocce contenenti grandi quantità di nichel, manganese, cobalto e rame dal fondo dell’oceano Pacifico. Più precisamente, il sito si trova nelle zone di frattura di Clarion e di Clipperton, un’area compresa tra il Messico centrale e le isole Hawaii.
The Metals Company vorrebbe dare inizio alle estrazioni nel 2024, e conta di riportare un profitto di 31 miliardi di dollari in vent’anni. Al progetto partecipano anche la compagnia di navigazione danese Maersk, l’azienda svizzera di servizi energetici offshore Allseas e il gruppo minerario svizzero Glencore.
In Svezia è stato scoperto un giacimento dei cosiddetti “metalli critici”. L’Unione Europea è intenzionata ad acquisire il suo primo asset minerario per slegarsi dalla dipendenza da altri Paesi per questo tipo di materie prime.
Il giacimento si trova nella Lapponia svedese, precisamente nella città mineraria di Kiruna, 145 chilometri al nord del Circolo Polare Artico, già nota alle cronache per la sua miniera di ferro.
Per poter rispondere alle crescenti richieste di materie prime sempre più indispensabili per la produzione di macchinari elettrici e dispositivi elettronici che li fanno funzionare, è ormai improcrastinabile un piano che garantisca un approvvigionamento sempre più indipendente dalle situazioni geopolitiche e che scongiuri l’interruzione di forniture di materie prime che supportano il progresso tecnologico.
Possediamo nel nostro Paese 16 di queste materie prime critiche, in particolare quelle per batterie elettriche e pannelli solari, ma queste si trovano in miniere che sono state chiuse oltre 30 anni fa, per il loro impatto ambientale o per i minori margini di guadagno. Occorre investire e riattivare queste potenzialità. La proposta di regolamento comunitario ci chiede di riaprire le miniere e di compiere uno sforzo in termini di recupero e di investimento in capacità tecnologica; è una sfida ma anche una grande opportunità. Sugli investimenti potrebbe arrivare in aiuto anche il fondo strategico nazionale, istituito con il Ddl Made in Italy con dotazione da un miliardo, che ha attirato grande interesse anche da parte di fondi sovrani esteri.
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